MIT: CHATGPT DIMEZZA LA CONNETTIVITÀ CEREBRALE. È ALLARME COGNITIVO

MIT: CHATGPT DIMEZZA LA CONNETTIVITÀ CEREBRALE. È ALLARME COGNITIVO

Il MIT ha pubblicato uno studio sorprendente (giugno 2025) in cui ha analizzato, per la prima volta, l’attività cerebrale di persone che usano ChatGPT.
Si tratta di una delle prime scansioni EEG in tempo reale sull’uso di intelligenza artificiale durante compiti cognitivi complessi.
I risultati sono chiari: l’uso passivo dell’IA non solo riduce la memoria e la concentrazione, ma impatta direttamente sul funzionamento del cervello.
Lo studio
Tre gruppi di utenti sono stati osservati mentre scrivevano un saggio:
Gruppo “cervello puro” (nessun aiuto esterno)
Gruppo “motore di ricerca”
Gruppo “ChatGPT”
Il gruppo che ha usato ChatGPT ha mostrato un crollo del 47% nella connettività cerebrale (da 79 a 42 connessioni attive), il livello più basso tra tutti.
Oltre al dato neurologico, l’83% di questi utenti non ricordava neanche una frase del proprio testo scritto pochi minuti prima.
Peggio ancora: anche dopo aver interrotto l’uso dell’IA, il cervello non ritornava subito a piena attivazione.
Testi ben scritti, ma vuoti
Secondo i docenti che hanno valutato gli elaborati, i testi generati con l’ausilio dell’IA erano ben strutturati, ma mancavano di profondità.
Le parole usate: "senza anima", "poco originali", "robotici".
Questo accade perché ChatGPT ottimizza il processo, ma non stimola il ragionamento, l’intuizione e la rielaborazione personale.
Il paradosso della produttività
Sì, ChatGPT rende più veloci: +60% in media nella consegna dei compiti.
Ma riduce del 32% il cosiddetto "carico cognitivo germano", cioè quello sforzo mentale necessario per apprendere davvero.
Detto altrimenti: ricevi la risposta, ma smetti di imparare a pensare.
Cosa funziona davvero
Il gruppo che ha ottenuto i risultati migliori?
Chi ha scritto prima da solo, e solo dopo ha usato l’IA come supporto.
Questo approccio ha portato a:
– migliore memoria
– maggiore attività cerebrale
– punteggi complessivi più alti
L’intelligenza artificiale non deve sostituire il pensiero. Deve potenziarlo.

Il problema non è l’intelligenza artificiale.
Il problema è smettere di attivare l’intelligenza reale.
Lo studio del MIT volendo riassumere dice una cosa fondamentale: non serve vietare l’IA. Serve imparare a usarla con consapevolezza, metodo e strategia.

Pur non condividendo pienamente le conclusioni dello studio, ritengo doveroso riportare questi risultati. Non solo perché fanno parte di un dibattito che riguarda tutti, ma perché segneranno con ogni probabilità la linea delle strategie educative e digitali dei prossimi anni, coinvolgendo direttamente scuole, studenti e il modo in cui le nuove generazioni verranno formate.
Niccolò

Leggi lo studio completo qui:
https://arxiv.org/abs/2506.08872

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