
MOHAMMAD MOSSADEQ: L'ENRICO MATTEI DELL'IRAN
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Un promemoria storico che in pochi vogliono ricordare
Negli anni ’50, l’Iran era attraversato da forti spinte modernizzatrici, pur restando ancorato a una società tradizionale: un equilibrio fragile che fu infranto dall’ingerenza esterna.
Nel 1953, a guidare il governo c’era Mohammad Mossadeq, un leader laico e socialista. Una delle sue prime decisioni fu considerare il petrolio non come un affare straniero, ma come patrimonio del popolo iraniano. Lo nazionalizzò, rompendo i monopoli delle grandi compagnie britanniche e statunitensi.
Questo atto di sovranità economica fu visto come una minaccia intollerabile da Londra e Washington.
In risposta, i servizi segreti americani e britannici – CIA e MI6 – organizzarono un colpo di Stato. Mossadeq fu deposto con l’inganno e al suo posto fu reinsediato lo Scià di Persia, un monarca autoritario spalleggiato dagli USA.
Cominciò così la trasformazione dell’Iran in uno Stato controllato dall’esterno, in cui repressione interna e ingerenza straniera andavano di pari passo.
La situazione degenerò negli anni. Il popolo iraniano, stremato da corruzione, povertà e mancanza di libertà, trovò un punto di riferimento in un religioso allora in esilio: Ruhollah Khomeini, che prometteva indipendenza e giustizia.
Nel 1979 esplose la Rivoluzione Islamica. Lo Scià fu costretto alla fuga, gli Stati Uniti persero il loro alleato, e l’ambasciata americana fu occupata da studenti rivoluzionari: scoppiò la crisi degli ostaggi.
Da allora, Washington ha alimentato un rancore costante verso Teheran.
Durante la guerra tra Iran e Iraq, gli USA non restarono neutrali: appoggiarono Saddam Hussein, fornendogli armi, intelligence e supporto logistico.
Il bilancio? Circa un milione di morti.
Nel 1988, un altro episodio che quasi nessuno ricorda: una nave da guerra americana abbatté un aereo civile iraniano – il volo Iran Air 655 – uccidendo 290 persone. Tra loro, 66 bambini. Nessuna scusa ufficiale, nessuna ammissione di colpa.
Oggi, a distanza di decenni, la storia sembra ripetersi.
Israele attacca l’Iran. Gli Stati Uniti rispondono: “Siamo con Israele.”
Si parla di "regime change", di portare “libertà” al popolo iraniano.
Un copione già visto.
Ma dietro a queste dichiarazioni si nasconde sempre lo stesso disegno: controllo delle risorse, dominio geopolitico, cancellazione dell’indipendenza altrui.
Mossadeq come Enrico Mattei
La figura di Mohammad Mossadeq può essere letta oggi con uno sguardo diverso, non più solo legato alla storia dell’Iran, ma come parte di un confronto più ampio.
C’è infatti un nome che, in Italia, evoca una battaglia molto simile: Enrico Mattei.
Entrambi rappresentano un'idea pericolosa per gli equilibri di potere globali: quella che le risorse energetiche devono appartenere ai popoli, non a cartelli stranieri. Entrambi, in modo diverso ma parallelo, osarono sfidare le logiche predatorie di Inghilterra e Stati Uniti.
Mossadegh nazionalizzò il petrolio iraniano, togliendolo dal controllo dell’Anglo-Iranian Oil Company (la futura BP).
Mattei, in Italia, attaccò frontalmente il cartello delle Sette Sorelle e cercò nuovi accordi con Paesi produttori emergenti, da protagonista indipendente.
Entrambi furono eliminati quando iniziarono a dare fastidio:
Mossadegh fu rovesciato con un colpo di Stato nel 1953, organizzato da CIA e MI6.
Mattei morì in un misterioso incidente aereo nel 1962, su cui ancora oggi pendono ombre pesanti e depistaggi.
Erano nazionalisti, ma non estremisti. Credevano in una sovranità economica reale, fondata sulla giustizia e sull’autonomia. E proprio per questo, furono dichiarati nemici dai grandi interessi internazionali.
Due uomini, due continenti, la stessa colpa: aver pensato che un popolo potesse alzare la testa senza chiedere il permesso.